Share this page to Telegram20200426_risoluzione_GC_covid_19

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A – L’attuale situazione di pandemia da Covid-19 ha provocato una situazione di crisi generale. È bene quindi nutrire rispetto per chi sta soffrendo e per i funzionari che permettono al sistema di garantire alla popolazione i servizi fondamentali di cui necessita. Si consideri qui il personale sanitario, ma anche tutti coloro che ad esempio operano dietro le quinte per trasportare le derrate alimentari o che le producono: la classe operaia! Detto ciò, questa crisi ha reso più che mai fondamentale osservare gli eventi con spirito critico volto al futuro. Questo affinché, superato il picco di quest’esperienza resasi di massa, si proceda alle modifiche necessarie ad impedire a simili crisi di ripresentarsi in futuro. È quindi il momento di riflettere sulle fallacità sistemiche della nostra economia, le quali hanno reso difficile a molti la riuscita del superamento delle rinunce indispensabili per sconfiggere la pandemia, come è il caso di lavoratori indipendenti ritrovatisi a chiudere le loro attività.

B – La disfunzione sistemica si è resa maggiormente evidente al cospetto di ciò che il modello cinese ha saputo dimostrare nella risoluzione della crisi sanitaria all’interno del suoi confini: si veda infatti come la Cina sia riuscita a costruire due ospedali da mille posti letto ciascuno in dieci giorni e a bloccare efficacemente gli spostamenti all’interno del Paese e nei focolai di maggiore diffusione, ottenendo così la paralisi dei contagi ad un ammontare di poco più di 80’000 casi e a limitare il numero di morti a una cifra di poco superiore a 3’500. Purtroppo queste cifre sono state superate sia dall’Italia che dagli Stati Uniti. Quest’ultimi, inoltre, hanno poi espresso la loro “umanità” offrendo come aiuto ai senza tetto un parcheggio a Las Vegas sebbene gli alberghi della città risultino vuoti in quanto “chiusi per virus”. Questa importante differenza si spiega sia con la scelta della Cina di anteporre la salute al profitto, ma anche con il fatto che il modello cinese abbia saputo dimostrarsi effettivamente superiore in materia di gestione economica: la sua supremazia politica e le sue capacità pianificatorie hanno permesso di bloccare totalmente la produzione nelle aree contagiate, questo in un sistema centralizzato in cui al governo erano date condizioni e mezzi necessari per poter delocalizzare la produzione interrotta al fine di riorientarla parzialmente e temporaneamente in altre regioni in cui la pandemia non si è manifestata. Queste capacità permetteranno con tutta probabilità alla Cina una ripresa economica molto più rapida di quella occidentale.

C – È innegabile che la situazione del Coronavirus avrebbe messo sottopressione qualsiasi tipo di sistema, tuttavia l’analisi mondiale complessiva trova divergenza nel bilancio finale ottenuto dai due sistemi posti a confronto: da un lato si ha quello socialista, il quale è riuscito a intervenire laddove necessario limitando al massimo delle sue capacità i danni. Dall’altro quello liberale che, oltre a farsi vanto di essere il modello più valido sia in termini sociali che economici, ora deve far fronte alle conseguenze di scelte politiche dannose derivanti dal processo di globalizzazione e di privatizzazione. Questa forte disparità deriva fondamentalmente dalla scelta cinese di optare per un processo di nazionalizzazione, che per sua stessa definizione protegge gli interessi della nazione, e dalla preferenza del modello liberista per la privatizzazione che, come vuole il suo stesso nome, protegge gli interessi privati. Si pensi in tal senso alle pressioni subite dal Canton Ticino da parte del Consiglio federale a seguito della scelta di chiudere i settori dell’economia non essenziali per la salvaguardia della popolazione ticinese.

D – È quindi bene ribadire come il Coronavirus non sia la causa principe della crisi che stiamo vivendo, bensì si è presentato come una scintilla che ha amplificato problemi già esistenti nei Paesi capitalisti e liberali, che di fatto erano già una bomba a orologeria pronta ad esplodere. I risultati sono ora sotto gli occhi di tutti, ma sarebbe ad ogni modo sbagliato credere nel principio per cui ora saremmo “tutti sulla stessa barca”, poiché a fare le spese della situazione saranno anzitutto le classi sociali meno abbienti, dai lavoratori ai piccoli commercianti e artigiani, non sicuramente gli speculatori e il grande capitale, ossia gli stessi che hanno portato a questa situazione.

E – Abbiamo individuato dunque sette aspetti che a nostro avviso occorre prendere in considerazione come spunti di riflessione per costruire un futuro migliore:

      1. Sostituire il senso di comunità e di solidarietà alla critica sterile! Si sono sentiti a più riprese diversi personaggi o organizzazioni anche di sinistra criticare le istituzioni in modo sterile. Questo genere di critica allo stato attuale non è assolutamente un metodo utile a migliorare la situazione di coloro che si stanno realmente impegnando nel superamento di questa crisi, come lo sono ad esempio il corpo sanitario, chi lavora nella produzione delle derrate alimentari, chi permette al cibo di giungere agli scaffali e lo dispone nei magazzini per l’utilità collettiva. Sono difatti queste le persone che stanno effettivamente permettendo al sistema di non crollare completamente. Alla critica occorre ora mostrare piuttosto il senso di comunità e di solidarietà.
      2. Restituire al lavoro il suo valore sociale! La situazione attuale insegna come tutti quei mestieri pratici che ci hanno insegnato essere ormai obsoleti o in progressiva sparizione sono invece fondamentali. Altro che fine della classe operaia, essa esiste ed è una forza reale della nostra società! Non sono infatti gli speculatori di borsa a svuotare i cestini per le strade ogni mattina, a riempire gli scaffali nei negozi alimentari o a curare i malati. È quindi necessario smettere di incentivare unicamente le formazioni che riempiono le necessità congiunturali del mercato, restituendo al lavoro il suo valore sociale. Questa crisi permette pertanto di portare alla luce buona parte delle carenze professionali locali; si ricordino in tal senso le critiche da noi rivolte all’impegno della Città dei mestieri nell’organizzare la giornata informativa dedicata all’attività d’influencer. La pandemia ha dimostrato infatti come il Cantone Ticino necessiti di ben altri tipi di lavori, come ad esempio medici ed infermieri. Ribadiamo pertanto, ora più che mai, che lo Stato deve concentrarsi nella promozione di professioni stabili e utili alla società, nonché atte allo sviluppo produttivo della società. Che venga quindi abolito il numerus clausus nelle facoltà di medicina, il quale ha contribuito a rendere la sanità del nostro Paese dipendente dalla manodopera estera, senza la quale il Canton Ticino non avrebbe potuto rispondere alla pandemia.
      3. Porre gli interessi dei lavoratori al centro delle decisioni governative! Le contraddizioni sistemiche verificatesi evidenziano la necessità di non far più subire alla classe lavoratrice gli influssi degli interessi dell’oligarchia finanziaria del nostro Paese. Quest’ultima, di fatto bada all’interesse del profitto privato, influenzando in questa logica le decisioni governative che sfociano poi nel mantenimento in attività di vari settori non essenziali a scapito della salute e dell’interesse collettivo. Ne sono un buon esempio cantieri e industrie ancora aperti in Svizzera che obbligano gli operai a mettere a rischio la propria salute e quella delle loro famiglie, ponendo poi a dura prova coloro che lasciano il posto di lavoro per la tutela della sicurezza collettiva con detrazioni di giorni di vacanza o addirittura licenziamenti. Noi comunisti militiamo affinché al centro delle decisioni governative vengano posti gli interessi dei lavoratori, coloro che permettono all’economia di funzionare e che se ne assumono tutti i rischi.
      4. Più Stato e meno mercato! Mentre la crisi crea panico ovunque, gli speculatori approfittano della situazione per far lievitare il loro bilancio annuale. In tal senso, le privatizzazioni non aiutano e non permettono allo Stato di proteggere gli interessi collettivi dai privati. Si può pensare a quanto successo con i prezzi e la disponibilità delle mascherine, beni fondamentali per affrontare la crisi ma resi di difficile reperibilità anche a causa dei prezzi spropositati fissati da chi pensa solo a trarre maggior profitto. Si può anche pensare al caso della liquidazione delle 10’000 tonnellate di etanolo, elemento indispensabile per la produzione di disinfettanti, a seguito della privatizzazione di Alcosuisse. Questi esempi rendono evidente la necessità di nazionalizzare i settori strategici di interesse pubblico. Tuttavia, i magnati del grande capitale, gli stessi che combattono duramente ogni forma di interventismo pubblico in economia, non si fanno scrupoli a ricorrere all’aiuto statale laddove le loro attività lucrative cominciano a colare a picco. Le nazionalizzazioni non devono più essere un tabù e anzi vanno inserite in un processo di moderna pianificazione economica che aiuti a far fronte con efficienza e organizzazione alle esigenze collettive!
      5. Rafforzare la sovranità nazionale e promuovere un mondo multipolare! Sebbene la Svizzera non sia uno stato membro dell’Unione Europea (UE), ne subisce a tutti gli effetti le decisioni. La situazione attuale rende evidente l’importanza del concetto di sovranità nazionale, poiché uno Stato che voglia provvedere al benessere della propria popolazione, deve impegnarsi ad essere il più indipendente possibile. Per la Svizzera ciò si traduce in primo luogo nell’opposizione contro ogni forma d’integrazione a questa UE. L’attuale UE ha saputo già in passato dimostrarsi un acceleratore di crisi non in grado di fornire aiuto nemmeno ai suoi Stati membri. Si tenga presente la richiesta di sostegno sanitario fatta recentemente dal governo italiano che è sfociata nel silenzio più totale da parte di Bruxelles. In tutto ciò, mentre la Germania blocca l’importazione di 240’000 mascherine nel nostro Paese in cui questo prodotto scarseggia, Cina e Cuba inviano i loro medici per soccorrere i Paesi che ne hanno bisogno, dichiarandosi pronti a correre in aiuto anche degli USA. La stessa UE che pretendeva dalla Svizzera il miliardo di coesione, pagato dai lavoratori svizzeri, per i Paesi dell’Est Europa che si sono rovinati collaborando con la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, l’UE e la NATO, ora si volta dall’altra parte. Ad ogni modo, essendo l’UE fondata sui dogmi di libero mercato e di libera concorrenza, non stupisce vederla disinteressarsi di ogni spirito solidale e comunitario preferendo piuttosto una corsa allo sciacallaggio delle risorse sanitarie. D’altro canto questo rispecchia il suo principio fondatore che mai muterà se non con l’unanimità di tutti gli Stati membri. È quindi bene che la Svizzera riscopra la sua sovranità economica, energetica, alimentare, produttiva e, diversificando i propri partner esteri, si rivolga piuttosto all’area euroasiatica e ai Paesi emergenti anche per rafforzare il consolidarsi di un mondo multipolare.
      6. Rivalutare il concetto produttivo: verso un’economia di piano! Sarà necessario rivalutare il concetto produttivo del just in time; lo dimostra la situazione attuale: scarsità di strutture sanitarie e mancanza di posti letto. Situazione che mette ulteriormente sotto pressione il già oberato corpo sanitario a cui non resta che sperare che le risorse a disposizione reggano il confronto con una curva di contagi esponenzialmente in aumento. Sulla base di questa considerazione, è anche importante mettere in discussione l’esperienza di delocalizzazione nell’ambito dell’economia reale. La Svizzera ha difatti interrotto da tempo la produzione in loco di mascherine, poiché più conveniente acquistarle direttamente dalla Cina. Con l’attuale emergenza e quindi con le conseguenti limitazioni dei trasporti, il rifornimento in termine quantitativo di mascherine importate dalla Cina non copre le effettive necessità della Svizzera, portando alcune aziende locali alla riattivazione della produzione di questo bene indispensabile per il superamento della crisi sanitaria. L’esempio mostra come quest’impostazione economica ponga la produzione dei bisogni reali di tutti in secondo piano rispetto al principio del profitto, rendendo poi il Paese non in grado di affrontare al suo interno nemmeno una situazione di emergenza senza dipendere da terzi. In quest’ottica, un’organizzazione statale efficiente che possa rispondere alle necessità effettive della collettività, può trovare la sua formula risolutiva unicamente in un’economia organizzata che sappia partire dalle vere risorse indispensabili all’uomo rispondendo costantemente in modo coscienzioso e non consumistico a quelli che sono le vere esigenze della popolazione. Ciò senza ricorrere allo sciacallaggio delle risorse del pianeta o all’ausilio di guerre a base imperialista, ma tramite cooperazioni civili tra Stati sovrani. Questo modello non può tuttavia trovare origine né nel capitalismo né nell’egoismo, ma solo in un’economia di piano in transizione al socialismo e nella consapevolezza di dover costruire una comunità umana dalla prospettiva condivisa.
      7. La solidarietà viene dai Paesi socialisti! Chi ha condotto campagne contro la Cina e contro Cuba, dovrà ora riflettere sull’attitudine solidale che questi Paesi socialisti hanno saputo dimostrare, nonostante uno di loro porti sulle sue spalle il fardello di un embargo. Queste persone dovranno inoltre meditare su ciò che invece il campo euro-atlantico non ha saputo fare: se in Cina il picco dei contagi pare essere superato, i sistemi sanitari dei Paesi a ordinamento capitalistico stanno vivendo tutti le conseguenze del neo-liberismo e dei programmi di austerità applicati sin ora in ambito per esempio sanitario. Ciò si è tradotto ad esempio nell’impossibilità per buona parte della popolazione statunitense di far ricorso a test e cure per il Coronavirus, poiché priva di un’assicurazione malattia. Si pensi poi anche alla vanità dimostratasi del principio di solidarietà atlantica, che di fatto sta vedendo gli USA tentare di accaparrarsi “in esclusiva” un vaccino sperimentale tedesco. Ci sono poi anche Francia e Germania, che hanno chiuso le esportazioni di materiale sanitario verso l’Italia i cui aiuti sono giunti invece da Cina e Cuba. La grande differenza d’approccio alla pandemia, che si riversa poi nei risultati, non trova origine unicamente nella mala organizzazione di alcuni Paesi occidentali, ma soprattutto nell’importanza attribuita all’interesse collettivo. Questo risulta forte e al centro delle politiche dei Paesi di stampo socialista, mentre è andato completamente perduto nei Paesi liberali che preferiscono accaparrarsi il necessario per sopravvivere infischiandosi di avviare collaborazioni utili e di giovamento reciproco. Tali dinamiche sono state enfatizzate dalla globalizzazione capitalistica. Con ciò non si assume acriticamente che Cina e Cuba siano dei modelli di immacolata perfezione, le contraddizioni esistono ovunque: ma dopo questa esperienza non toccherà di certo ai Paesi del campo atlantico ergersi a maestri e dare lezioni su quale sia il miglior sistema da seguire.
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