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1. Quello che accade a Washington dimostra che un numero non indifferente di cittadini statunitensi sono convinti – poco importa se sia vero – che le elezioni presidenziali siano state truccate, che è poi quello che solitamente afferma il governo di Washington (sia con Obama, sia con Trump e in futuro anche con Biden) condannando – senza alcuna prova – i processi elettorali in Venezuela, in Bielorussia, in Siria, e imponendo sanzioni (quando non direttamente dei bombardamenti) contro tutti i paesi che, difendendo la loro sovranità, non si piegano ai diktat della Casa Bianca. Chi semina vento, raccoglie insomma tempesta!

2. Gli apologeti della “democrazia” e della “libertà” tipica dell’american way of life, hanno ricevuto ieri la conferma che la loro epoca di egemonia unipolare sul mondo si sta avviando alla conclusione: ci troviamo cioè in una fase storica nuova e di cambiamento. Certamente essa è ancora contraddittoria e in divenire, ma in sostanza corrisponde al declino, forse lento ma probabilmente irreversibile, del modello liberal-atlantista che non solo gli USA ma anche l’Europa ha voluto seguire sin qui.

3. Mentre pochi mesi fa la polizia in forze reprimeva con la violenza i pacifici cortei di solidarietà con gli afroamericani, ieri era palesemente sottodotata e ha mostrato fin troppa indulgenza mentre il parlamento veniva assaltato. La lettura secondo cui i poliziotti sono razzisti tanto quanto i manifestanti pro-Trump non è in sé sbagliata ma è perlomeno incompleta, anche perché la Capitol Hill Police dipende dal Congresso e non dal Presidente e anche perché i diversi corpi armati degli USA non sono monolitici e non rispondono ai medesimi gruppi di potere. Non possiamo essere insomma così ingenui da non vedere che un colpo di stato non lo fanno dei sottoproletari esagitati: è più probabile che ci si trovi di fronte a una forma di “strategia della tensione” che permetta di ricompattare temporaneamente l’establishment del duopolio repubblicano-democratico dopo la fase divisiva di Donald Trump alla Casa Bianca e che tornerà utile soprattutto al prossimo presidente Joe Biden (che non a caso viene già santificato dai media mainstream quale salvatore della patria) per giustificare uno stato di necessità atto a securizzare ulteriormente la politica americana e a blindare quell’opposizione socialista e pacifista ancora prima che si possa esprimere compiutamente.

4. L’eventuale ricompattarsi della classe dirigente statunitense sarà tuttavia comunque instabile, non solo perché il malcontento popolare è evidente e i reali margini democratici interni al sistema tanto ridotti da non riuscire a colmare la polarizzazione politica, ma anche perché gli interessi della stessa borghesia USA sono diversi e il contrasto inter-imperialista potrà solo crescere così come si intensificherà lo scontro con i paesi emergenti. L’ipotesi di una escalation anche violenta alla prossima crisi negli USA è tutt’altro che peregrina, ma a preoccupare i comunisti deve essere l’assenza di una sufficientemente forte organizzazione sindacale sul piano di massa e di un partito di classe adeguatamente organizzato e radicato negli USA senza i quali risulta difficile immaginare sbocchi progressivi nel breve periodo.

5. Da un’ottica di classe il primo dato politico a emergere, è insomma che l’Amministrazione Trump è stata in qualche modo storicamente “utile” in termini marxisti poiché ha aperto un forte conflitto all’interno della borghesia statunitense e l’attuale movimento pro-Trump, oltre ad aver definitivamente messo a tacere il presidente uscente, ha contribuito a rendere ancora meno credibile agli occhi dei popoli un regime che ci si ostina a considerare impropriamente un faro di democrazia. Alla profonda divisione della società americana risponde oggi la solidarietà della società cubana, l’unità della società cinese, la dignità di tutte quelle nazioni oppresse di vario orientamento politico e culturale, saccheggiate e balcanizzate dall’imperialismo a guida statunitense e che domani saranno le protagoniste di un mondo finalmente multipolare e più pacifico perché come ha previsto nel 2005 il comandante Fidel Castro: “Nella storia dell’umanità è crollato l’impero romano, che era la super potenza del mondo antico: non vedo perché non dovrebbero crollare gli Stati Uniti d’America”.

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