Ammissioni e pratica professionale al DFA: quo vadis?

INTERROGAZIONE

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Il futuro occupazionale dei giovani laureati ticinesi è a giusta ragione divenuto oggetto di grande attenzione negli ultimi anni, di fronte al preoccupante fenomeno della “fuga di cervelli” verso Oltralpe. Uno dei pochi settori ad oggi in grado di attirare a Sud delle Alpi i laureati ticinesi è quello dell’insegnamento, come dimostra il numero in costante crescita di candidature ricevute dal Dipartimento Formazione e Apprendimento (DFA) della SUPSI, che lo scorso anno è stato confrontato con oltre 600 domande di ammissione.

Nelle ultime settimane sono però emerse alcune novità di grande rilevanza per i giovani interessati ad una carriera nel mondo dell’insegnamento. Secondo quanto riportato dalla RSI (vedi), le prospettive d’impiego nella scuola media sono infatti sempre meno rosee, a causa del ricambio generazionale già avvenuto in alcune materie e della prevista diminuzione – dovuta a ragioni demografiche – del numero di allievi a partire dall’anno scolastico 2025-26. Interpellata dalla RSI, la capo-sezione dell’insegnamento medio Tiziana Zaninelli ha affermato che “ci si scontra con le ore di insegnamento che per alcune materie sono inferiori alle aspettative. Una di queste è storia, ma vale anche per inglese. E in prospettiva futura varrà anche per l’italiano”.

A fronte di tale situazione, stupisce constatare come da parte del DFA (l’istituto responsabile dell’abilitazione dei docenti per la scuola media) non vi sia un adattamento della propria politica di ammissione. Secondo quanto dichiarato alla RSI dal direttore del DFA Alberto Piatti, “la formazione è concordata con il DECS anno per anno”. Eppure, malgrado le limitate prospettive occupazionali di cui sopra, per l’anno scolastico 2024-25 è prevista l’apertura dei percorsi di formazione anche per le materie più sotto pressione (come storia e italiano).

Va rilevato come tale discrepanza sia almeno in parte riconducibile al modello di pratica professionale introdotto al DFA a partire dal 2002, quando venne abbandonato il cosiddetto modello “en emploi”. Se prima i docenti in formazione erano assunti dal Cantone e poi iscritti all’istituto abilitante, ora essi devono invece iscriversi prima a quest’ultimo e solo in alcune circostanze particolari possono ricevere un incarico d’insegnamento in parallelo al percorso d’abilitazione (grazie alla revisione adottata dal Gran Consiglio nel 2013). L’abbandono del modello “en emploi” era stato giustificato dalla volontà di conformarsi alle normative della CDPE per ottenere il riconoscimento nei cantoni d’Oltralpe dei diplomi erogati dal DFA. Così facendo, si è però creato un crescente scollamento tra il fabbisogno effettivo di docenti della scuola ticinese e il numero di docenti abilitati dal DFA, oltre ad aumentare sensibilmente la precarietà dei docenti in formazione presso tale istituto. Benché sia formalmente possibile svolgere un’attività retribuita à côté dell’abilitazione, ciò è spesso difficile da conciliare con la stessa e in ogni caso possibile solo ad una percentuale (e dunque ad un salario) ridotta. I docenti in formazione presso il DFA, oltre che costretti a studiare in un contesto di precarietà economica, non hanno dunque ormai nemmeno più la garanzia di godere di una concreta prospettiva occupazionale alla fine della propria abilitazione.

Per queste ragioni, chiediamo al Consiglio di Stato di rispondere alle seguenti domande:

1. Quali sono le previsioni del DECS circa il fabbisogno di docenti nelle varie materie insegnate nella scuola media sull’arco dei prossimi anni? In che misura il DFA deve attenersi a tale fabbisogno nella sua politica di ammissione ai percorsi di abilitazione? Come avviene la concertazione tra DECS e DFA in tale ambito?

2. Quale è la sua valutazione del modello di pratica professionale introdotto nel 2002 e rivisto nel 2013? Quali valutazioni hanno condotto alla ulteriore revisione di tale modello attualmente in corso, volta alla implementazione delle cosiddette “comunità di apprendimento professionale” (CAP)?

3. Quali sono le disposizioni specifiche imposte dalla CDPE che impediscono un ritorno al modello “en emploi” (gli articoli 13 e 14 del Regolamento sul riconoscimento dei diplomi d’insegnamento del 2019 non sembrano infatti essere in contraddizione con tale modello)? Considerato l’interesse principale degli abilitandi ticinesi ad insegnare a Sud delle Alpi, non ritiene il governo che sia possibile rinunciare al riconoscimento CDPE in favore di un ritorno del modello “en emploi”?

4. Quali misure intende adottare il governo per ridurre la precarietà economica degli studenti del DFA e per garantirne le prospettive occupazionali?

Massimiliano Ay e Lea Ferrari, deputati in Granconsiglio

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