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Gli alpeggi sono stati caricati, in un momento di incertezza per le aziende agricole e di spaesamento della società e della politica sul rapporto essere umano e natura. Il Partito Comunista prende molto seriamente questo equilibrio precario facendosi portavoce delle valli del nostro Cantone verso il Governo.

In un’interpellanza sottoscritta trasversalmente da esponenti di diversi partiti si è chiesto al Cantone di fare la sua parte, invece di scaricare totalmente sulle spalle delle allevatrici e degli allevatori la difficile convivenza con il lupo. Le risposte del Ministro Vitta non sono sufficienti per guardare alla stagione economica più importante per le regioni alpine con serenità.

Non è in discussione l’esito del voto popolare del 27 settembre 2020, per cui gli aventi diritto di voto svizzeri hanno reclinato una regolazione dei grandi predatori. Viene però da chiedersi come sia stato possibile prendere con leggerezza questa decisione, quando per qualsiasi altro tema fiscale, sociale, ambientale ecc. siamo abituati ad una disamina molto complessa degli effetti, delle misure d’accompagnamento, delle categorie avvantaggiate e svantaggiate.

Già in un’interrogazione dello scorso 16 dicembre 2020 si metteva in chiaro l’antitesi tra natura e civiltà. Le leggi della natura sono per definizione ineguali, nella giungla vince il più forte, allo stato brado non vi è posto per i più deboli, disabili e malati, essi sono destinati a morire. In questo magnifico caos l’essere umano è l’unico animale che si pone quale obiettivo la giustizia sociale.

Con troppa facilità il popolo svizzero sta rischiando di sbarazzarsi di un sapere molto antico insito nelle pratiche della pesca, della caccia e dell’agricoltura, per estensione la conoscenza del territorio, la tutela di un paesaggio diversificato, le fondamenta di un’economia locale alpina di successo da secoli.

In montagna non vi è alternativa alla pratica agricola del pascolo, in grado di trasformare la risorsa vegetale, che non entra direttamente nell’alimentazione umana, nei prodotti lattiero-caseari di alta qualità e valore nutrizionale, nonché fonte di reddito per gli imprenditori e le imprenditrici agricole. Se comprendiamo la fondamentale importanza dell’attività economica della pastorizia, non potremo rispondere all’allevatore e all’allevatrice che daremo più soldi per le recinzioni, che indennizzeremo le perdite di capi di bestiame, che finanzieremo il mangime per tenerli più a lungo in stalla.

NO, questo è un insulto alla lunga tradizione produttiva ed economica di cui sono protagoniste le popolazioni alpine, alla fierezza di chi conosce i propri animali, selezionati negli anni, che devono poter valorizzare la biodiversità dei pascoli montani e non essere sbranati dal lupo. Non si alleva un patrimonio genetico – a volte plurisecolare – allo scopo di ricevere un indennizzo, bensì con la razionalità di gestire un territorio difficile in modo competitivo, sostenibile, al passo coi tempi e orientato alla prosperità della società.

Data l’insostituibilità delle aziende agricole alpine, chiediamo al Governo una comunicazione trasparente e immediata, chiediamo una raccolta dati per eseguire un monitoraggio e una prevenzione efficaci come fa il Canton Grigioni, affinché sia possibile una regolazione in particolare di individui minacciosi e troppo aggressivi, cioè che predano un numero elevato di animali in poco tempo e nella stessa regione.

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