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La direttrice dell’Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP), invita la popolazione alla pazienza per la campagna di vaccinazione. Si tratterebbe infatti della più grande sfida logistica di sempre. Tralasciando un istante che quanto introdotto dovrebbe in realtà già essere presente nelle strategie che avrebbero dovuto essere state affinate da anni in vista di possibili pandemie, il Partito Comunista è scettico circa l’esaltazione di questa mastodontica pianificazione a fronte di una disponibilità di dosi ancora largamente insufficiente rispetto ai bisogni.

Ancora una volta infatti – come è stato il caso delle mascherine o delle riserve di etanolo liquidate in seguito alla privatizzazione dell’ex regia federale dell’alcol – il problema va individuato a monte! Nonostante la Svizzera sia stata tra i primi paesi ad assicurarsi sul mercato il numero di dosi sufficienti per la popolazione, queste sono ora limitatamente disponibili siccome la produzione attuale non può coprire la richiesta. Ma la situazione fino a pochi anni fa era ben diversa!

Fino al 2001 infatti, esisteva in Svizzera l’istituto sieroterapico e vaccinogeno svizzero, sorto già a fine ‘800, un’azienda che acquisì prestigio a livello internazionale per la sua ricerca anche in settori sperimentali e per svariati vaccini fra cui quelli contro il vaiolo, il colera e il tifo (fu una delle poche aziende al mondo a produrre dei vaccini contro la prima SARS!).

Purtroppo, ad inizio anni 2000 l’istituto rinominato “Bern Biotech SA” diviene protagonista di speculazioni ed errori manageriali: a causa del mancato investimento pubblico di “soli” 12 milioni (negato dall’allora Consigliere Federale Pascal Couchepin ai tempi dell’influenza aviaria), il fiore all’occhiello della vaccinazione svizzera viene abbandonato a se stesso e acquisito dall’olandese “Crucell”, che in pochi anni viene a sua volta assorbita, assieme a quanto restava degli stabilimenti produttivi di Bern Biotech SA, da gruppi statunitensi che ne delocalizzano le filiere produttive.

Il caso della Bern Biotech SA non è però il solo nel panorama elvetico: nel 2014 anche il colosso farmaceutico Novartis decideva infatti di vendere le sue unità dedicate alla produzione di vaccini a società straniere (l’americana GlaxoSmithKline e l’australiana CSL-Limited).

Negli ultimi 15 anni numerosi atti parlamentari e appelli della comunità scientifica misero in guardia il Consiglio Federale circa i rischi di una dipendenza totale dall’estero per un eventuale bisogno urgente di produzione di vaccini in caso di pandemia, mentre l’Ufficio Federale per l’Approvvigionamento economico (UFAE) avverte che in generale la scarsità di vaccini in Svizzera è un problema sempre più frequente.

Il Consiglio federale nel 2014 ha – bontà sua! – “tematizzato la possibilità di sviluppare una produzione nazionale destinata all’approvvigionamento di vaccini in caso di pandemia”, forse sarebbe però giunta anche l’ora che si tematizzi di meno e si agisca di più, abbandonando per una volta i dogmi neo-liberisti di sottomissione al grande capitale farmaceutico!

Come Partito Comunista ribadiamo ancora una volta che questi settori essenziali non devono essere lasciati in balia del mercato e dei suoi fenomeni speculativi: occorre dunque nazionalizzare al più presto la produzione farmaceutica di base, dai vaccini fino ai farmaci generici, assicurando l’approvvigionamento medico del paese e sottraendo questi ambiti economici alla speculazione che ben conosciamo.

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