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Ieri la Confederazione ha deciso un inasprimento dei provvedimenti per contrastare la pandemia. Nello specifico, a partire dal 18 gennaio sarà obbligatorio il telelavoro. Tuttavia vista la durata “limitata” del provvedimento, non si dovrà versare ai lavoratori alcuna indennità per spese come elettricità, affitto, ecc.

Come più volte ripetuto il Partito Comunista considera il telelavoro una forma di impiego che parcellizza la classe lavoratrice e favorisce forme nuove di precarietà. Lo possiamo dunque accettare solo in situazioni di estrema necessità, come quelle pandemiche, visto che attualmente i lavoratori vengono fin troppo esposti a situazioni pericolose per la loro salute. Al di fuori però di questa situazione di crisi sanitaria invece occorre frenare questa tendenza: il rischio di abusi nelle condizioni di impiego infatti cresce di fronte anche a un controllo sindacale che si farebbe più fragile.

Ciò detto il telelavoro non può essere mai slegato da misure sociali a favore degli impiegati. Rivendichiamo quindi che ai dipendenti costretti a lavorare da casa siano coperti i costi per: a) l’affitto di un locale adibito a stanza da lavoro al domicilio; b) la connettività internet; c) la rete telefonica; d) l’energia elettrica ed e) altre spese eventuali rese necessarie dall’esecuzione del lavoro (ad es.: la cartuccia d’inchiostro per la stampante). E’ peraltro quanto chiesto dai deputati del nostro Partito al Consiglio di Stato per gli impiegati pubblici del Cantone attraverso una interrogazione dello scorso novembre (link) che a sua volta riprendeva una sentenza del 2019 del Tribunale federale in cui si riconosceva che l’infrastruttura per il lavoro da casa è necessaria per l’esercizio della professione ed è quindi soggetta a rimborso.


Quali garanzie per il lavoro a distanza?

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