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Il prossimo 18 giugno la popolazione ticinese dovrà esprimersi in votazione popolare sul referendum promosso dalle forze sindacali, della società civile e dai partiti. L’oggetto in votazione si riferisce alla modifica legislativa approvata dal Gran Consiglio, il cui obiettivo è l’estensione degli orari e delle aperture dei negozi nei giorni festivi e nelle domeniche. Tenuto conto della già problematica Legge sull’apertura dei negozi entrata in vigore nel 2020, la decisione del Parlamento cantonale tira troppo la corda ed è da interpretare come un affronto diretto ai diritti delle lavoratrici e dei lavoratori!

Tra intensificazione dei ritmi di lavoro, bassi salari, aumento della richiesta di profili “flessibili” e squalifica professionale per via di decisioni e ideologie manageriali, le condizioni di lavoro delle persone impiegate nel settore della grande distribuzione sono fortemente peggiorate negli ultimi anni. Un lavoro prevalentemente svolto da donne impiegate a tempo parziale, che per ragioni salariali e materiali faticano a conciliare la sfera professionale con quella familiare: l’estensione degli orari di lavoro si tradurrebbe forzatamente in un peggioramento delle condizioni di esistenza e in un aumento del carico fisico e mentale di queste lavoratrici! Un atto arrogante e classista da parte della maggioranza borghese che – in nome di un presunto beneficio del consumatore e del turismo – vuole aumentare lo sfruttamento delle lavoratrici e dei lavoratori!

Tra gli argomenti dei promotori della modifica di legge, infatti, vi sarebbe un ipotetico vantaggio dei piccoli commercianti – con una superficie fino a 400 mq – di modo che possano cogliere “il potenziale turistico in un periodo non facile vista la concorrenza”. Indipendentemente dalla questione puramente formale – in cui si confonde l’area di un’attività economica con la sua presunta forza economica, senza tenere conto dell’eterogeneità delle attività e dei valori immobiliari in cui hanno sede – e riduzionistica, estendere gli orari e i giorni di apertura dei negozi metterebbe in difficoltà diverse attività e acuirebbe la concorrenza tra piccoli e medie attività confrontate con grandi catene di distribuzione, in cui l’asimmetria di mezzi in possesso peggiorerebbe la situazione. Infatti, queste possono permettersi di impiegare flessibilmente del personale e aprire più giorni, traendo maggiori benefici a scapito dei loro concorrenti più deboli economicamente. Se davvero si intendono appoggiare le – inflazionatissime nella retorica ma scarsamente considerate dalla politica della maggioranza parlamentare – PMI, si sostengano piuttosto delle misure a favore del potere d’acquisto e si regolamenti la posizione oligopolistica dei grandi distributori!

Anziché permettere un reale rafforzamento delle PMI, questa modifica di legge estende la vendita di specchietti per le allodole e peggiora le già precarie condizioni di lavoro nel settore. Il Partito Comunista promuove da sempre una politica seria e realista a sostengo del potere d’acquisto, per un miglioramento delle condizioni salariali, lavorative e di consumo delle lavoratrici e dei lavoratori; e per una maggiore regolamentazione contro l’attuale regime oligopolistico nel settore della vendita, affinché l’artigianato e il lavoro indipendente possano realmente trovare delle condizioni favorevoli per la loro attività economica. Per queste ragioni il Partito Comunista invita la popolazione ticinese a votare NO alla modifica della legge sull’apertura dei negozi!

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