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La Direzione del Partito Comunista ha preso atto del compromesso raggiunto in seno alla Commissione della Gestione e delle Finanze del Gran Consiglio ticinese sul tema del salario minimo. Dopo ben cinque anni dal voto popolare e in piena crisi sociale, siamo di fronte a un salario orario tra i 19.00 e i 19.50 franchi a partire dal 2021 e di uno tra i 19.50 e i 20.00 franchi a partire dal 2023. Di una terza forchetta che arrivi ai 20,25 franchi non vi è sicurezza e sarebbe comunque prevista solo per la prossima legislatura, un periodo di attesa troppo lungo.

Come Partito Comunista sosteniamo un salario minimo mensile di Fr. 4’000.- (e di Fr. 1’000.- per gli apprendisti) ma avevamo detto fin dall’inizio delle trattative (e ancora in campagna elettoraleche, seppur disposti a trovare un compromesso, non potevamo assolutamente scendere sotto i (comunque bassi) Fr. 20.- orariRestiamo quindi coerenti con quanto promesso alla cittadinanza e non voteremo messaggi che si discostano da tale limite.

Deploriamo l’atteggiamento anti-sociale dei partiti della maggioranza borghese che si sono resi esecutori dei diktat di quella parte di padronato che vuole continuare ad avere la libertà di assumere frontalieri sottopagati per aumentare i propri margini di guadagno.

Pur coscienti che si tratti del compromesso che, con gli attuali rapporti di forza partitici, ci si poteva purtroppo attendere dalle istituzioni, consideriamo questi minimi salariali comunque troppo bassi. Comprendiamo quei commissari che hanno ritenuto di firmare il rapporto solo per evitarnuno ancora più umiliante per i lavoratori e finirla con le lungaggini che hanno caratterizzato questo dossier e tentando di affrontare immediatamente l’emergenza sociale, ma riteniamo tuttavia che queste cifre non solo non placheranno il dumping salariale e la sostituzione di manodopera, ma comporteranno anzi – ed è molto grave – un ancoraggio negativo degli attuali salari, favorendo quindi un “dumping di Stato”.

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